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Toni da tragedia greca per l’auto elettrica. Trame intricate, perché è così che piace. Tra le opere di Euripide c’è anche Elettra, una povera donna in balìa del dramma familiare. La trama si inerpica attraverso scenari cupi e diventa complessa, a volte difficile da seguire, a volte impossibile da capire. Perché è così che piace. Al di là della logica, oltre l’immaginazione. E anche per il tema dell’auto elettrica, ormai padrone del mainstream della mobilità globale, si va oltre la coerenza, oltre il buon senso. Italia in testa, portabandiera di una visione a compartimenti stagni e logora, Italia miope rappresentante del dissenso a un rapido processo di conversione, che tanto rapido poi non è. 
Un vero dramma del fare, uno stallo di cui essere davvero poco fieri promotori. Magari si potesse fare come Euripide e in questo teatrino dell’assurdo ricorrere al deus ex machina, la soluzione calata dall’alto, dogma indiscutibile perché di origine divina. Si potrebbe avere una soluzione prêt-à-porter anche per l’auto elettrica. Il deus ex machina, magari potrebbe soddisfare quel povero derelitto dell’ambiente, per principiare. Non senza il nostro inguaribile romanticismo, ma con inalienabile senso di responsabilità, magari potrebbe spiegare che l’Italia, grazie ai suoi attributi geografici, può ambire a raggiungere la completa autonomia energetica. Una bella pensata anche per la tutt’altro che arrendevole e solo apparentemente insensibile categoria dei petrolieri. Guarda caso, secondo Bloomberg New Energy Finance, i fondi complessivi destinati nelle energie rinnovabili in Medio Oriente sono aumentati di sette volte in un decennio, da 960 milioni di dollari nel 2011 a 6,9 miliardi di dollari nel 2021. Le cifre stanziate si concentrano soprattutto sullo sfruttamento dell’energia solare. Forse perché hanno capito che l’oro del futuro non può essere che del colore del sole.

Il deus ex machina potrebbe anche calare il proprio pensiero sostenendo che l’alta produzione di CO2 per la realizzazione di una batteria sarà nel breve periodo (5-10 anni), quindi prima del fatidico 2035, ridotta al minimo indispensabile, come afferma il recente studio di McKinsey & Company, e ogni paragone di produzione con un’auto ad alimentazione tradizionale diverrà insostenibile. La transizione è solo all’inizio, ma è certo che le auto elettriche gioveranno all’ambiente più di quanto possa fare un’auto a combustione evoluta.
Ma non serve certo Aristotele per capire che il deus ex machina non può essere usato per la soluzione dell’opera. Un uso eccessivo dell’espediente è considerato poco raffinato, perché vuol dire che l’autore non è riuscito a risolvere la trama. Almeno che sia il cliente, allora, il vero deus ex machina. Un ruolo che gli va assegnato con onestà intellettuale. Che almeno gli sia concesso il diritto di scegliere e di decidere in libertà, senza gli avveduti pareri di demagoghi e di leoni da tastiera. Al cliente non servono a molto gli avvisi di chi non ha mai utilizzato un’auto elettrica. Stando ai dati del parco circolante, a fine 2021 la quota dell’elettrico era dello 0,3%, vuol dire che oggi un buon 99% di coloro i quali dispensano giudizi e opinioni non hanno mai utilizzato (non provato) un’auto elettrica. Non è sufficiente provare un’auto elettrica, essa va utilizzata. Il test drive di una Bev dovrà andare verso un car usage di breve periodo, con il Noleggio Breve Termine che potrà diventare determinante per una esperienza di acquisto positiva.
A proposito, Elettra, la splendente, alla fine rappresenterà il giusto ordine morale.

Il vero virus globale si chiama infodemia

Cambiamo argomento. Intanto nel mondo l’auto elettrica sta facendo il suo corso: è forte, ce la farà. Da noi non resta che la soluzione della vigile attesa.
Parliamo invece dell’idea, molto ceo capitalista, di influenzare il consumatore: un processo con implicazioni antropologiche ancora da scoprire. Così, mentre si fa più consistente la convinzione che la libertà abbia gli stessi sentori di una biblioteca, altrettanto forte è la presa di coscienza che far scorrere immagini su uno schermo sia come trovarsi di fronte a un orizzonte indistinto, un inafferabile flusso di putridume, dove la stereotipizzazione di comportamenti costruiti sull’apparenza diventa linfa vitale per muovere il mondo in modo binario.
Un territorio vasto dove il consumatore è solo materia grezza, così influenzabile e propenso com’è a tracannare qualunque miscela. Quello che più conta riguarda chi produce contenuti e chi è chiamato a valutare portata, frequenza ed efficacia degli annunci. E se con l’adozione dei servizi di streaming, grazie a un’accurata profilazione, tracciare il pubblico diventa sempre di più agevole, parlando di produzione di contenuti, vanno approfonditi due concetti: il clickbait e l’agenda setting. Due modi di fare comunicazione su piani diversi, ma ugualmente basati sulla misinformazione. L’agenda setting è la teoria che ipotizza la possibile influenza dei media sull’audience in base alla scelta di notizie, allo spazio e alla preminenza loro concessa. Alla base della teoria c’è il salience transfer, cioè rendere una notizia saliente rispetto ad altre. L’esempio che tutti conosciamo riguarda le notizie titolate in modo eccessivo.

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