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Molti gli argomenti dell’estate, per alcuni la più calda; per altri: normalmente calda; per altri ancora: macchisseneimporta.
Detto del meteo, torniamo a parlare del tempo, quello cronologico, cronometrico e cronografico, protagonista del nostro fondo di undici mesi fa, quando ne indicavamo l’importanza per affrontare le istanze che la concorrenza cinese già allora stava generando.
Riprendiamo l’argomento grazie allo spunto offerto da Luca de Meo, orgoglio nazionale del management automobilistico.
Il 28 luglio, a margine della presentazione dei dati finanziari del Gruppo Renault, de Meo ha suggerito uno slittamento al 2040 per lo stop alla vendita dell’endotermico. Una misura che permetterebbe di “far crescere ancora il mercato dell’elettrico”, ha affermato il Ceo di Renault. Una dichiarazione basata su stime a 12 e a 17 anni che quantomeno lasciano i persistenti sentori del dubbio, nel senso che non possono che essere delle congetture, cioè giudizi relegati al rango di ipotesi. Nella successiva intervista a Quattroruote del 4 settembre, de Meo ha modificato il tiro aprendosi, giustamente, “a vari scenari”. Insomma, la casa va costruita con il regolo di piombo per avere agio di adattarsi alle asperità del momento, ma su fondamenta perfettamente in squadro e poggiate sull’assioma dell’indietro non si torna. Nessun commento ulteriore; viene solo in mente, in merito allo slittamento temporale, qualunque esso sia, l’epocale riforma del calendario voluta da Cesare (Gaio Giulio).

Il disastroso calendario tardorepubblicano in uso, un lunisolare da 354 giorni, imponeva una serie di correttivi. Senza intervenire sul calendario (istituzione religiosa, quindi non modificabile), si era lasciata discrezionalità ai pontefici incaricati delle intercalazioni, cioè gli embolismi necessari per inserire i giorni con il fine di riallineare il ciclo astronomico. La discrezionale durata delle intercalazioni era spesso intesa a favorire o a sfavorire specifici interessi politici o economici. E niente, nel passaggio dal calendario “numano” di 354 giorni all’unico disponibile da 365, cioè quello egiziano, Cesare, per rimediare agli errori accumulati dai pontefici, non esitò ad aggiungere 90 giorni in un solo anno: un vero cataclisma nella vita sociale e nel tessuto economico di una nazione. A ogni buon conto, va tenuto presente che in caso di guerra gli embolismi erano vietati. Il motivo è semplice: il tempo che ti concedi è lo stesso tempo che concedi.
Fine dell’argomento.
Altro tema, sempre lo stesso, della genericamente calda estate riguarda la recente dichiarazione del Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. La notizia è che l’Unione europea sta avviando un’indagine sul sostegno della Cina ai produttori di auto elettriche. A pagina 4 il commento di Andrea Cardinali, Direttore Generale di Unrae, giudica la dichiarazione come un atto di propaganda politica. Dal canto nostro, nell’interpretazione delle parole di von der Leyen: “Il prezzo di queste auto (cinesi) è artificialmente abbassato da enormi sussidi statali e questo distorce il nostro mercato”, non è difficile distinguere dove le parole collidono con la realtà. Cioè dove si vagola alla ricerca della soluzione di un problema che affligge la propria economia in casa di altri. È utile ricordare che l’industria europea per anni ha dato alla Cina con una mano per prendere con due. Utile ricordare per sottolineare il degrado industriale, inclusa la dipendenza energetica, e di aggiornamento tecnologico, che il Chip Act europeo è stato approvato il 25 luglio u.s.: sarebbe questa la competitività Ue? Infine, se davvero dovessero arrivare auto a basso costo, con il potere d’acquisto che oggi abbiamo grazie all’euro (valore monetario 2021 su 2002: -23,05%; in Italia l’inflazione negli ultimi due anni ha fatto calare il potere d’acquisto di 6.700 euro procapite), sarà il caso di ringraziare la Cina.

Viva l’escalation tecnologica

Con il preciso intento di capirci qualcosa, partiamo guardando ai cambiamenti della nostra epoca.
Una miscela di elementi messi in amalgama con modalità e tempi diversi, una serie di variazioni, di metamorfosi, perfino di mutazioni. Sembra come se il vero protagonista sia il cambiamento stesso, quello continuo, quello di Aristotele dove il movimento è eterno, come il tempo. Un concetto che ha aspettato 2.250 anni per essere sintetizzato in una formula matematica.
Non esistono più posizioni fisse, o meglio lungamente stabili. Ce ne rendiamo conto durante le elezioni politiche, per via di quei pochi che ancora vanno a votare. Elettorati camaleontici, instancabili migratori del seggio. Surfisti dell’onda parlamentare. Si assiste a una costante instabilità qualificata dal disorientamento.
Un atteggiamento derivato da processi che non è stato possibile governare, un modo di esistere generato dagli effetti avversi della globalizzazione.
Scavando tra le macerie del concetto originale di globalizzazione si trovano pochi resti di prospettive edificanti, di principi aggreganti, di elementi capaci di generare ricchezza, facendo crescere chi ha di meno, senza svantaggiare chi ha di più. Bei propositi, ma quanto è successo e quanto sta succedendo ci dice che non è andata così. La globalizzazione non è un gioco a informazione perfetta. Non vince chi è più bravo. C’è il lancio dei dadi, un processo prevalentemente stocastico, modellizzato nello studio dell’incertezza. E questa volta i perdenti sono gli occidentali. Gli stessi che hanno fatto crescere il resto del mondo penalizzando la propria componente, quella più avanzata. Una bella lezione che ha creato il disorientamento sociale e culturale, soprattutto perché la globalizzazione è stata promossa come la genesi di una cultura uniforme di massa. La stessa uniformità che la Cina conosce molto bene e che ha imparato a evitare con disinvoltura anglosassone dal diversamente recente 1978, quando Deng Xiaoping propose l’idea Boluan Fanzheng, letteralmente “eliminare il caos e tornare alla normalità”. Cioè l’uniformità del comunismo definita come il caos, quello che appiattisce; perché la crescita viene dalle differenze, viene dalla concorrenza, perché la normalità abita solamente nel libero mercato.

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