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Come previsto e temuto, a marzo, il mercato italiano dell’auto incassa un altro colpo sotto la cintura. Nono mese di fila in zona rossa con tutto fermo, o quasi, in attesa che il decreto attuativo dia il via libera ai sospirati incentivi. Il Presidente di Unrae, Michele Crisci, ha commentato il risultato di marzo avvertendo che “Gli annunci e la conseguente aspettativa degli incentivi stanno di fatto paralizzando il mercato ormai da mesi e, se il Governo non provvede a emanare con urgenza il decreto attuativo che li rende fruibili, si rischia di aggravare e prolungare ulteriormente la crisi delle immatricolazioni”. Nel mese, immatricolato da 119mila nuove auto per un calo che sfiora il 30% e 50mila targhe in meno rispetto a un anno fa. Nel primo trimestre, con un giorno lavorativo in più sul 2021, saldo da 338mila unità e calo del 24,4%. Da gennaio a marzo le perdite ammontano a 109mila unità, mentre negli ultimi 9 mesi la nuova crisi ha pesato per oltre 332mila vendite sul rispettivo precedente periodo. Nella struttura del mercato, tutti in rosso i risultati degli utilizzatori. A marzo, i Privati perdono quasi un terzo del targato, mentre il Noleggio Breve Termine riduce le immatricolazioni scendendo a -47,5%. Nuovo calo a due cifre per Società ed Enti: -16,9%. Il Noleggio Lungo Termine, pur perdendo il 20,3%, conquista 2,2 punti di quota. Giù anche le autoimmatricolazioni, in calo del 37,9%. Il consuntivo del primo trimestre vede tutti i canali con passivi in doppia cifra, con il dato meno rassicurante che riguarda i Privati titolari di una variazione negativa del 25,6%. Chiari segni di attesa degli incentivi anche nell’analisi per alimentazione. Tutte le motorizzazioni in calo  fatta eccezione per il Gpl che cresce del 6,9%. Molto bassi i volumi delle elettriche, in calo del 38,8%. In rosso anche le mild-hybrid: -21,5%. Benzina e diesel perdono rispettivamente il 37,6% e il 39,2%, portandosi al 27,3% e 21,1% di quota.
Mercato Italia - Marzo 2022 - immatricolazioni per marca

Viva l’escalation tecnologica

Con il preciso intento di capirci qualcosa, partiamo guardando ai cambiamenti della nostra epoca.
Una miscela di elementi messi in amalgama con modalità e tempi diversi, una serie di variazioni, di metamorfosi, perfino di mutazioni. Sembra come se il vero protagonista sia il cambiamento stesso, quello continuo, quello di Aristotele dove il movimento è eterno, come il tempo. Un concetto che ha aspettato 2.250 anni per essere sintetizzato in una formula matematica.
Non esistono più posizioni fisse, o meglio lungamente stabili. Ce ne rendiamo conto durante le elezioni politiche, per via di quei pochi che ancora vanno a votare. Elettorati camaleontici, instancabili migratori del seggio. Surfisti dell’onda parlamentare. Si assiste a una costante instabilità qualificata dal disorientamento.
Un atteggiamento derivato da processi che non è stato possibile governare, un modo di esistere generato dagli effetti avversi della globalizzazione.
Scavando tra le macerie del concetto originale di globalizzazione si trovano pochi resti di prospettive edificanti, di principi aggreganti, di elementi capaci di generare ricchezza, facendo crescere chi ha di meno, senza svantaggiare chi ha di più. Bei propositi, ma quanto è successo e quanto sta succedendo ci dice che non è andata così. La globalizzazione non è un gioco a informazione perfetta. Non vince chi è più bravo. C’è il lancio dei dadi, un processo prevalentemente stocastico, modellizzato nello studio dell’incertezza. E questa volta i perdenti sono gli occidentali. Gli stessi che hanno fatto crescere il resto del mondo penalizzando la propria componente, quella più avanzata. Una bella lezione che ha creato il disorientamento sociale e culturale, soprattutto perché la globalizzazione è stata promossa come la genesi di una cultura uniforme di massa. La stessa uniformità che la Cina conosce molto bene e che ha imparato a evitare con disinvoltura anglosassone dal diversamente recente 1978, quando Deng Xiaoping propose l’idea Boluan Fanzheng, letteralmente “eliminare il caos e tornare alla normalità”. Cioè l’uniformità del comunismo definita come il caos, quello che appiattisce; perché la crescita viene dalle differenze, viene dalla concorrenza, perché la normalità abita solamente nel libero mercato.

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