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Un altro mese perso per l’auto, ormai si fa fatica a tenerne il conto. Aprile è il decimo mese consecutivo con il segno meno, il decimo con un calo in doppia cifra, anche. Il mese migliore di questa serie nera fu anche il primo a dire che la crisi non era finita, era luglio 2021: - 19,2%. Aprile invece, questo aprile da -33,0% è tra i peggiori. Per la precisione è secondo, dopo il -35,7% di ottobre. In termini di volumi, con 97mila immatricolazioni, si torna indietro agli anni ’60. Le cause di tutto questo restano le stesse, da un lato la crisi macroeconomica con microchip, materie prime e guerra, dall’altro, il lato più amaro della faccenda, c’è che nonostante l’approvazione della nuova tornata di ecobonus, a oggi non c’è traccia alcuna del decreto applicativo in Gazzetta Ufficiale, e nemmeno notizie del provvedimento sul sito del Ministero dello Sviluppo economico. Ma che importa, si può aspettare perché il cumulato dei primi 4 mesi del 2022 è solo a -26,5%, cioè oltre un quarto del targato in meno rispetto all’anno scorso, un anno che non ha certo brillato per vitalità. Poco importa davvero se nel solo mese di aprile le Passenger Car hanno perso 48mila immatricolazioni, e se nel primo quadrimestre le perdite ammontano a 156mila unità, e se negli ultimi 10 mesi la crisi (e la mancanza degli incentivi) ha pesato per oltre 380mila vendite in meno rispetto all’analogo periodo precedente. Sul fronte della segmentazione del mercato, la struttura per utilizzatore parla chiaro. Ad aprile, la quota dei Privati è stata del 53%, 6,5 punti percentuali in meno su base annua, il 40% in meno in termini di volumi, scesi a 52mila unità. Rappresentatività che si contrae al 60,8% nel cumulato. Il Noleggio Lungo Termine perde l’11,3%, con gli operatori Top in territorio positivo a +1,7%. Nuovo crollo per il Breve Termine: -39,0% ad aprile. In picchiata anche le autoimmatricolazioni che perdono il 31,4%. Le Società, infine, chiudono il mese a -14,7%.
Mercato Italia - Aprile 2022 - immatricolazioni per marca

Viva l’escalation tecnologica

Con il preciso intento di capirci qualcosa, partiamo guardando ai cambiamenti della nostra epoca.
Una miscela di elementi messi in amalgama con modalità e tempi diversi, una serie di variazioni, di metamorfosi, perfino di mutazioni. Sembra come se il vero protagonista sia il cambiamento stesso, quello continuo, quello di Aristotele dove il movimento è eterno, come il tempo. Un concetto che ha aspettato 2.250 anni per essere sintetizzato in una formula matematica.
Non esistono più posizioni fisse, o meglio lungamente stabili. Ce ne rendiamo conto durante le elezioni politiche, per via di quei pochi che ancora vanno a votare. Elettorati camaleontici, instancabili migratori del seggio. Surfisti dell’onda parlamentare. Si assiste a una costante instabilità qualificata dal disorientamento.
Un atteggiamento derivato da processi che non è stato possibile governare, un modo di esistere generato dagli effetti avversi della globalizzazione.
Scavando tra le macerie del concetto originale di globalizzazione si trovano pochi resti di prospettive edificanti, di principi aggreganti, di elementi capaci di generare ricchezza, facendo crescere chi ha di meno, senza svantaggiare chi ha di più. Bei propositi, ma quanto è successo e quanto sta succedendo ci dice che non è andata così. La globalizzazione non è un gioco a informazione perfetta. Non vince chi è più bravo. C’è il lancio dei dadi, un processo prevalentemente stocastico, modellizzato nello studio dell’incertezza. E questa volta i perdenti sono gli occidentali. Gli stessi che hanno fatto crescere il resto del mondo penalizzando la propria componente, quella più avanzata. Una bella lezione che ha creato il disorientamento sociale e culturale, soprattutto perché la globalizzazione è stata promossa come la genesi di una cultura uniforme di massa. La stessa uniformità che la Cina conosce molto bene e che ha imparato a evitare con disinvoltura anglosassone dal diversamente recente 1978, quando Deng Xiaoping propose l’idea Boluan Fanzheng, letteralmente “eliminare il caos e tornare alla normalità”. Cioè l’uniformità del comunismo definita come il caos, quello che appiattisce; perché la crescita viene dalle differenze, viene dalla concorrenza, perché la normalità abita solamente nel libero mercato.

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