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A ottobre nei 30 mercati europei sono state targate 911mila autovetture per una crescita del 14,1% tendenziale. Un confronto fatto con il peggior ottobre di sempre, ma che recapita il terzo segno positivo mensile consecutivo, nonché il primo a due cifre. Il risultato porta i primi 10 mesi dell’anno a 9,2 milioni di passenger car, il passivo del cumulato passa dal -9,7% di settembre al -7,8% attuale. Il quadro macroeconomico di zona euro mostra prezzi ancora elevati per l’energia, con l’inflazione e l’indice dei prezzi al consumo che stabiliscono nuovi record. Oltre a questo sono di rilievo le notizie che riguardano l’Unione europea che ha confermato il percorso normativo previsto dal Fit for 55 e ha proposto nuovi limiti all’Euro7. Le previsioni su come chiuderà il 2022 importano poco ormai, ma forse è brutto ricordare che la differenza fra le stime di inizio anno e il probabile esito al 31 dicembre conta 1,8 milioni di auto in meno. La prima stima sul 2023, invece, indica 12,6 milioni di immatricolazioni e una crescita dell’11%. Top 5 Gruppi, ottobre: Volkswagen cresce del 39,9% e conquista 4,7 punti di quota; Stellantis -1,8% e perde 2,9 punti percentuali; Hyundai consuntiva un -4,9% con la quota che va giù di 1,8 punti; Renault aumenta del 2,0%, ma cede 1,1 p.p. di quota; Toyota mette a segno una crescita del 41,7%, e di 1,5 punti di quota.
Mercato Europa - Vendite per Gruppi e Marche - Ottobre 2022
Mercato Europa - Vendite per Paese - Ottobre 2022

Viva l’escalation tecnologica

Con il preciso intento di capirci qualcosa, partiamo guardando ai cambiamenti della nostra epoca.
Una miscela di elementi messi in amalgama con modalità e tempi diversi, una serie di variazioni, di metamorfosi, perfino di mutazioni. Sembra come se il vero protagonista sia il cambiamento stesso, quello continuo, quello di Aristotele dove il movimento è eterno, come il tempo. Un concetto che ha aspettato 2.250 anni per essere sintetizzato in una formula matematica.
Non esistono più posizioni fisse, o meglio lungamente stabili. Ce ne rendiamo conto durante le elezioni politiche, per via di quei pochi che ancora vanno a votare. Elettorati camaleontici, instancabili migratori del seggio. Surfisti dell’onda parlamentare. Si assiste a una costante instabilità qualificata dal disorientamento.
Un atteggiamento derivato da processi che non è stato possibile governare, un modo di esistere generato dagli effetti avversi della globalizzazione.
Scavando tra le macerie del concetto originale di globalizzazione si trovano pochi resti di prospettive edificanti, di principi aggreganti, di elementi capaci di generare ricchezza, facendo crescere chi ha di meno, senza svantaggiare chi ha di più. Bei propositi, ma quanto è successo e quanto sta succedendo ci dice che non è andata così. La globalizzazione non è un gioco a informazione perfetta. Non vince chi è più bravo. C’è il lancio dei dadi, un processo prevalentemente stocastico, modellizzato nello studio dell’incertezza. E questa volta i perdenti sono gli occidentali. Gli stessi che hanno fatto crescere il resto del mondo penalizzando la propria componente, quella più avanzata. Una bella lezione che ha creato il disorientamento sociale e culturale, soprattutto perché la globalizzazione è stata promossa come la genesi di una cultura uniforme di massa. La stessa uniformità che la Cina conosce molto bene e che ha imparato a evitare con disinvoltura anglosassone dal diversamente recente 1978, quando Deng Xiaoping propose l’idea Boluan Fanzheng, letteralmente “eliminare il caos e tornare alla normalità”. Cioè l’uniformità del comunismo definita come il caos, quello che appiattisce; perché la crescita viene dalle differenze, viene dalla concorrenza, perché la normalità abita solamente nel libero mercato.

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