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Novembre allunga la serie positiva e porta a quattro i mesi consecutivi con il segno più. L’immatricolato del mese conta 119.853 targhe, per un incremento del 14,7% su base annua. Una crescita a due cifre, dunque, che risulta dal confronto con il secondo peggior mese di novembre dal 1980. Un andamento da misura colma a metà, dove il segno più ci porta a quella fase del ciclo emozionale del mercato tra lo sconforto e il sollievo, ancora lontani dall’ottimismo di cui si ha tutti bisogno, ma dove la parola ripresa probabilmente assume un significato diverso da quello inteso fino a oggi. Esattamente diverso dal mercato dell’auto che ci prepariamo ad affrontare, con i profondi cambiamenti dal lato dell’offerta e con quelli altrettanto complessi della distribuzione. Fatto sta, che la ripresa si protende, così come indicato da Unrae il mese scorso, verso un 2023 da 1,4 milioni di nuove immatricolazioni. Stima cui fa seguito quella proposta da Dataforce con un forecast sostanzialmente allo stesso livello e con 1,385 milioni di unità. A quanto pare, una ripresa destinata a tracciare una curva ben al di sotto dei cicli di prepandemia, con la definizione di nuovi parametri per tutti e con chiare implicazioni per la rivalutazione del business. La nota sull’auto elettrica rimane a livello “disperazione”: i volumi perdono oltre un quarto del targato, ma la quota migliora di 1,1 punti su base congiunturale. Su questo tema si è già detto molto, non resta che mettere in evidenza la fase ascendente delle emissioni di CO2 che a novembre crescono del 3,2% su base tendenziale. Da inizio anno, in Italia, sono state targate 1.211.769 nuove auto, l’11,6% in meno dello stesso periodo dell’anno scorso. In termini di volume si tratta del peggior cumulato dal 1980. Il clima macroeconomico resta fortemente perturbato: energia, inflazione, costo del denaro. Particolarmente attesi gli interventi di Christine Lagarde in programma per la prossima settimana.
Mercato Italia - Novembre 2022 - immatricolazioni per marca
Top 10 Italia - Novembre 2022

 

Il vero virus globale si chiama infodemia

Cambiamo argomento. Intanto nel mondo l’auto elettrica sta facendo il suo corso: è forte, ce la farà. Da noi non resta che la soluzione della vigile attesa.
Parliamo invece dell’idea, molto ceo capitalista, di influenzare il consumatore: un processo con implicazioni antropologiche ancora da scoprire. Così, mentre si fa più consistente la convinzione che la libertà abbia gli stessi sentori di una biblioteca, altrettanto forte è la presa di coscienza che far scorrere immagini su uno schermo sia come trovarsi di fronte a un orizzonte indistinto, un inafferabile flusso di putridume, dove la stereotipizzazione di comportamenti costruiti sull’apparenza diventa linfa vitale per muovere il mondo in modo binario.
Un territorio vasto dove il consumatore è solo materia grezza, così influenzabile e propenso com’è a tracannare qualunque miscela. Quello che più conta riguarda chi produce contenuti e chi è chiamato a valutare portata, frequenza ed efficacia degli annunci. E se con l’adozione dei servizi di streaming, grazie a un’accurata profilazione, tracciare il pubblico diventa sempre di più agevole, parlando di produzione di contenuti, vanno approfonditi due concetti: il clickbait e l’agenda setting. Due modi di fare comunicazione su piani diversi, ma ugualmente basati sulla misinformazione. L’agenda setting è la teoria che ipotizza la possibile influenza dei media sull’audience in base alla scelta di notizie, allo spazio e alla preminenza loro concessa. Alla base della teoria c’è il salience transfer, cioè rendere una notizia saliente rispetto ad altre. L’esempio che tutti conosciamo riguarda le notizie titolate in modo eccessivo.

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