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L’estate lo conferma, la situazione dell’offerta continua a migliorare. Secondo quanto comunicato da Acea, il bimestre estivo mette in fila il 13esimo segno più consecutivo; con agosto, sono 11 le crescite consecutive a due cifre. Quanto ai volumi, luglio immatricola 1,02 milioni di passenger car con un incremento del 16,9%, ad agosto se ne contano 904mila con un progresso del 20,8%. In questo modo il cumulato raggiunge 8,5milioni di unità, il 17,9% in più sull’analogo periodo dello scorso anno. Numeri che proiettano una fine d’anno comodamente al di sopra dei 12 milioni di autovetture, valori che rimangono comunque ben distanti dagli oltre 15milioni immatricolati nel triennio 2017-2019. A pesare, ancora una volta, il contesto macroeconomico frenato da tassi di interesse elevati e da una crescita lenta e volatile. In evidenza la struttura del mercato per alimentazione con l’elettrico, ad agosto, che raddoppia i propri volumi grazie soprattutto al contributo della Germania. Nel periodo gennaio-agosto l’auto elettrica cresce del 53,5%, raggiungendo quota 15,1% che la posiziona stabilmente al terzo posto, alle spalle di benzina e di ibrido. L’analisi del mercato per marche e gruppi riporta il decollo verticale delle “Altre” che a luglio crescono del 178%, ad agosto del 115% e da inizio anno del 108%.
Mercato Europa - Vendite per Paese - Luglio e Agosto 2023
Mercato Europa - Vendite per Gruppi e Marche - Luglio e Agosto 2023

Viva l’escalation tecnologica

Con il preciso intento di capirci qualcosa, partiamo guardando ai cambiamenti della nostra epoca.
Una miscela di elementi messi in amalgama con modalità e tempi diversi, una serie di variazioni, di metamorfosi, perfino di mutazioni. Sembra come se il vero protagonista sia il cambiamento stesso, quello continuo, quello di Aristotele dove il movimento è eterno, come il tempo. Un concetto che ha aspettato 2.250 anni per essere sintetizzato in una formula matematica.
Non esistono più posizioni fisse, o meglio lungamente stabili. Ce ne rendiamo conto durante le elezioni politiche, per via di quei pochi che ancora vanno a votare. Elettorati camaleontici, instancabili migratori del seggio. Surfisti dell’onda parlamentare. Si assiste a una costante instabilità qualificata dal disorientamento.
Un atteggiamento derivato da processi che non è stato possibile governare, un modo di esistere generato dagli effetti avversi della globalizzazione.
Scavando tra le macerie del concetto originale di globalizzazione si trovano pochi resti di prospettive edificanti, di principi aggreganti, di elementi capaci di generare ricchezza, facendo crescere chi ha di meno, senza svantaggiare chi ha di più. Bei propositi, ma quanto è successo e quanto sta succedendo ci dice che non è andata così. La globalizzazione non è un gioco a informazione perfetta. Non vince chi è più bravo. C’è il lancio dei dadi, un processo prevalentemente stocastico, modellizzato nello studio dell’incertezza. E questa volta i perdenti sono gli occidentali. Gli stessi che hanno fatto crescere il resto del mondo penalizzando la propria componente, quella più avanzata. Una bella lezione che ha creato il disorientamento sociale e culturale, soprattutto perché la globalizzazione è stata promossa come la genesi di una cultura uniforme di massa. La stessa uniformità che la Cina conosce molto bene e che ha imparato a evitare con disinvoltura anglosassone dal diversamente recente 1978, quando Deng Xiaoping propose l’idea Boluan Fanzheng, letteralmente “eliminare il caos e tornare alla normalità”. Cioè l’uniformità del comunismo definita come il caos, quello che appiattisce; perché la crescita viene dalle differenze, viene dalla concorrenza, perché la normalità abita solamente nel libero mercato.

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