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Alla vigilia della sosta estiva avevamo giudicato malfermo il nostro Governo. In pieno clima vacanziero l’esecutivo non solo è caduto, ma il Parlamento è stato sciolto e sono state indette nuove elezioni per il 25 settembre senza una formale sfiducia del Parlamento al governo in carica e nonostante l’ottimo andamento del Pil, mai così positivo. Il momento, caratterizzato da grande incertezza economica e grandi tensioni internazionali, è delicato e potrebbe portare a una svolta nell’orientamento politico del Paese. 
La tentazione di commentare un quadro politico così complesso è grande, ma è fuori della nostra sfera di pertinenza. Svolgiamo un lavoro caratterizzato dall’assoluta neutralità ideologica e politica nel rispetto delle opinioni dei nostri lettori che, fra l’altro, ci leggeranno quando i risultati elettorali saranno già noti. Andiamo infatti in stampa una settimana prima della chiusura dei seggi.  Meglio allora commentare la turbolenza al vertice del gruppo Volkswagen in occasione della sostituzione del Ceo, Herbert Diess, con Oliver Blume. Una vera e propria detronizzazione (Blume si è già insediato dal 1° settembre), attribuita affrettatamente ai contrasti con il potente sindacato IG Metall, che per legge in Germania siede nel consiglio di sorveglianza delle società con diritto di voto anche sulla nomina e sull’operato dei vertici della società. È una tesi che però non regge, perché i dissapori con i sindacati erano noti da tempo e anche il tentativo di attribuire la sfiducia al suo operato non è credibile perché a luglio 2021 gli era stato prorogato il contratto fino a ottobre 2025, senza attendere la naturale scadenza del 2023, nonostante i dubbi sui software e sulla sua gestione della transizione elettrica giudicata dal mercato non del tutto riuscita soprattutto in alcuni modelli.

Le ragioni del ribaltone sono quindi da ricercare altrove, forse nelle macchinazioni in corso per il controllo dell’azionariato Porsche. Confermando la notizia dello scorso mese di febbraio, raccolta in Borsa a Francoforte, sull’intenzione di Volkswagen AG di una offerta pubblica preliminare (Ipo) sull’azionariato Porsche, un comunicato ufficiale del gruppo attesta che la verifica è terminata. Conseguentemente il 5 settembre scorso (attenzione alla data, Diess è stato licenziato il 23 luglio) il Consiglio di Amministrazione ha deliberato, con il consenso del Consiglio di Sorveglianza, di procedere alla collocazione in Borsa di una parte delle azioni privilegiate di Porsche il cui capitale è stato suddiviso in 50% di azioni privilegiate senza diritto di voto e 50% di azioni ordinarie con diritto di voto.
Oggetto dell’Ipo sarebbe la metà delle azioni privilegiate senza voto da quotare in base a una valutazione totale di Porsche concordata in 85 miliardi di euro (un importo non molto lontano dal valore dell’intero gruppo Volkswagen). Contemporaneamente, e qui potrebbe esserci stato lo scontro con Diess, la famiglia Porsche/Piech, acquisirebbe da Volkswagen la metà delle azioni ordinarie (con diritto di voto) Porsche, più un’azione, al prezzo di collocamento Ipo delle privilegiate maggiorate del 7,5%. In tal modo i cugini si assicurerebbero il controllo della ricca Porsche.

 

A conclusione dell’Ipo il Gruppo Volkswagen continuerebbe a detenere le rimanenti azioni privilegiate (25% del totale) e ordinarie (49% del totale). Nel dicembre 2022 verrebbe convocata un’assemblea ordinaria per la proposta agli azionisti di un dividendo speciale pari al 49% del totale dei proventi della vendita di azioni privilegiate (agli investitori) e ordinarie (alla famiglia). Con il 31,4% del capitale di Volkswagen, i cugini Porsche e Piech detengono attualmente il 53% dei voti in Consiglio e controllano di fatto il gruppo e le scelte strategiche come gli equilibri azionari.

 

Attraverso l’Ipo si assicurerebbero in portafoglio il controllo di Porsche in virtù di quello che in Borsa viene tecnicamente chiamato controllo di blocco, riscattandosi dopo la mai dimenticata sconfitta che segnò nel 2009 il passaggio del controllo Porsche dalla famiglia alla Volkswagen.

In consiglio Diess si sarebbe espresso contro, definendola un’operazione a spese degli investitori. Da qui il licenziamento e la sostituzione con il più malleabile Blume.


Viva l’escalation tecnologica

Con il preciso intento di capirci qualcosa, partiamo guardando ai cambiamenti della nostra epoca.
Una miscela di elementi messi in amalgama con modalità e tempi diversi, una serie di variazioni, di metamorfosi, perfino di mutazioni. Sembra come se il vero protagonista sia il cambiamento stesso, quello continuo, quello di Aristotele dove il movimento è eterno, come il tempo. Un concetto che ha aspettato 2.250 anni per essere sintetizzato in una formula matematica.
Non esistono più posizioni fisse, o meglio lungamente stabili. Ce ne rendiamo conto durante le elezioni politiche, per via di quei pochi che ancora vanno a votare. Elettorati camaleontici, instancabili migratori del seggio. Surfisti dell’onda parlamentare. Si assiste a una costante instabilità qualificata dal disorientamento.
Un atteggiamento derivato da processi che non è stato possibile governare, un modo di esistere generato dagli effetti avversi della globalizzazione.
Scavando tra le macerie del concetto originale di globalizzazione si trovano pochi resti di prospettive edificanti, di principi aggreganti, di elementi capaci di generare ricchezza, facendo crescere chi ha di meno, senza svantaggiare chi ha di più. Bei propositi, ma quanto è successo e quanto sta succedendo ci dice che non è andata così. La globalizzazione non è un gioco a informazione perfetta. Non vince chi è più bravo. C’è il lancio dei dadi, un processo prevalentemente stocastico, modellizzato nello studio dell’incertezza. E questa volta i perdenti sono gli occidentali. Gli stessi che hanno fatto crescere il resto del mondo penalizzando la propria componente, quella più avanzata. Una bella lezione che ha creato il disorientamento sociale e culturale, soprattutto perché la globalizzazione è stata promossa come la genesi di una cultura uniforme di massa. La stessa uniformità che la Cina conosce molto bene e che ha imparato a evitare con disinvoltura anglosassone dal diversamente recente 1978, quando Deng Xiaoping propose l’idea Boluan Fanzheng, letteralmente “eliminare il caos e tornare alla normalità”. Cioè l’uniformità del comunismo definita come il caos, quello che appiattisce; perché la crescita viene dalle differenze, viene dalla concorrenza, perché la normalità abita solamente nel libero mercato.

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